Guardando la trasmissione dei Wind Music Awards ieri sera, ho commentato la serata lanciando nell’etere qualche tweet con l’hashtag ufficiale del programma, scatenando, evidentemente, le ire dei fan di Fabri Fibra con il commento seguente: «Percepisci il degrado di un paese quando passi dal cantautorato di Fabrizio De André al rap di Fabri Fibra».
Il mio non voleva di certo essere un raffronto di quelli che di fatto sono due generi completamente diversi, quanto una metafora musicale dettata dall’assonanza del nome di due cantanti di due generazioni e, soprattutto, due epoche diverse, che cantano, ognuno nel suo personalissimo modo, la società che si trovano a rappresentare nei loro testi.
Immediate le polemiche, prive di alcun fondamento esegetico-sociologico riferito al tweet, di chi, elegantemente, ha scritto testualmente di “non capirci un cazzo”, forte del fatto di essere donna e pertanto meritare rispetto a priori senza avere l’onere di doverne portare a propria volta.
Ciò che mi ha sorpreso non è tanto la pretesa sessista di essere rispettata, quanto l’arrogarsi il diritto di essere maleducata e volgare, e se a farlo è fondamentalmente una ragazzina che firma il suo nick con 92, presumibilmente la propria data di nascita, significa la sconfitta per un’intera generazione, che non ha alcuna coscienza né conoscenza della vita e per questo pensa di essere tenuta a non riconoscerla, e ad essere al contempo rispettata come se questo fosse un diritto ereditario acquisito.
Non un semplice scontro verbale tra tifoserie, quelle del cantautore Fabrizio De André e del rapper Fabri Fibra, ma quello di un’intera generazione, nata agli inizi degli anni ’90 che mostra poca educazione, una ostentata ignoranza generale e poca conoscenza della lingua italiana, di cui nemmeno si vergogna.
Una generazione che vive nel mito dell’eterna giovinezza, prolungata dai filtri di retrica e quelli di snapchat, e che considera “vecchi” tutti gli altri. Una (neo) gioventù bruciata immemore di un James Dean che probabilmente nemmeno conosce, che si arroga il diritto di essere maleducata e sgarbata, pretendendo ciononostante rispetto su basi del tutto inesistenti.
I post-adolescenti italiani di oggi, i ventenni, sono spesso ignoranti, e subiscono passivamente programmi televisivi quali reality e serie televisive trash, vantandosi della propria ignoranza.
I loro idoli sono Fabri Fibra, calciatori e “veline” di dubbio talento, generando fenomeni social con click sul computer che hanno soltanto l’inconscia capacità di guardare video su YouTube e spendendo giornate a commentare post su facebook.
Non distinguono un verbo essere da una congiunzione nemmeno per sbaglio, né adoperano correttamente il verbo avere, ma non per questo rinunciano a dire la loro, sbagliando, forti di quella gioventù cui continuano ad attingere, ignari che presto dovranno pagarne un salato conto.
Altri invece, come quelli che guardano il dito di chi invece indica loro la luna, hanno posto l’accento sui due generi musicali degli artisti, tentando goffamente di difendere il proprio idolo senza reali conoscenze, né tanto meno un’adeguata preparazione scolastica o un nutrito bagaglio di cultura personale. Si appigliano qua e là casualmente a ragionamenti vacui che non riescono a reggere, abbandonando stancamente la conversazione per mancanza di veri argomenti di cui interloquire.
L’italiano non solo non lo sanno scrivere correttamente, ma ne hanno anche una bassa comprensione del testo.
Queste generazioni, nate a metà degli anni ’90, e cresciute con le fiction sui boss di Garko o le puntate di Uomini e Donne, vivono beatamente nella convinzione di potersi atteggiare a “tronisti” facendosi foto allo specchio in abiti pacchiani in bagni sciatti o selfie con lo smartphone con bocche a culo di gallina, e pensano che basti un tatuaggio con carattere in Old English e una frase da cioccolatino per sentirsi fighi.
Ossessionati da idoli spesso senza talento, i loro tweet, quando non sono autoreferenziali come una campagna politica, oscillano tra l’acido e il demente, e si alternano a foto photoshoppate quanto quelle della D’Urso sulle copertine dei suoi libri. Si concentrano sul malessere di amori finiti o su rapporti malsani, trascurando tutto il resto.
Naturalmente è errato generalizzare, per fortuna ci sono oasi felici e ragazzi in gamba che sono un vero e proprio vanto per la propria generazione e per il nostro Paese, tuttavia molti altri corrispondono tristemente e amaramente a quello che è una vera e propria forma mentis, uno stile di vita che si tramuta in comportamento patologico.
È una fotografia desolata e desolante quella che emerge da twitter di questa generazione che venera cantanti che si chiamano come un anime giapponese e i One Direction, e che invece avrebbe potuto rappresentare il degno ricambio generazionale di chi ha già subito un’Italia avida, quel giusto riscatto che i “vecchi” non avranno mai.
Mi piace:
Mi piace Caricamento...